Elda Longo, "l'artista della
frantumazione", "dell'istante perduto", "della memoria
ritrovata"… Lei sostiene che solo così "ricostruisce la realtà”!
Per la fine di marzo la sua mostra personale a
Bruxelles, presso la galleria del parlamento europeo. I soggetti? Un diario dei
suoi luoghi notturni. E lei si racconta così:
Antonio Verri= Che cos'è la realtà per te?
Elda Longo= E'
qualcosa che non somiglia mai a se stessa e che necessita della giusta distanza
per essere compresa.
A.V. Da qui la tua tecnica?
E.L. Più che
tecnica, per me è un linguaggio, che nasce dalla cogente necessità di arrivare
al dettaglio. Di spiegarlo, in primis, a me stessa. Ma da vicino i dettagli si
sfocano, si frantumano si rendono meno nitidi...
A.V. "Artista
della frantumazione", "dell'istante perduto", "della
memoria ritrovata". Così si scrive di te. Qual è la definizione migliore?
E.L. Un po' tutte
e nessuna. La vita in sé non offre soluzioni di continuità. Sicuramente tutta
la mia generazione è travolta e coinvolta da questo travaglio; io ne incarno il
dramma cercando, con sforzo, di non assumerne il vittimismo. Per questo amo
pensare che il mio progetto poetico-estetico mira a ricostruire la realtà e non
a frantumarla!
A.V. Andiamo
sempre di più verso l'alta definizione, verso la perfezione dell'immagine, non
ti senti un po' anacronistica nel frammentare le tue tele, nel renderle così
"povere", "sfocate" di bassa qualità, per usare un termine
informatico?
E.L. più si va
verso la perfezione realistica dell'immagine più si perde la sua forza
d'illusione. E' la frammentazione, quello che si raggiunge "per forza di
togliere" (usando le parole di Michelangelo), che permette di arrivare
all’anima, ma questo l'abbiamo disimparato con la modernità per questo la gente
insegue l'iperfocale sulla realtà, l'alta definizione. Questa corsa sfrenata è
eccessiva per me. Io devo chiudere gli occhi per vederci meglio. Devo stare al
buio per fare luce sui dettagli e forse perfino su me!
A.V. Non ti
sembra un po' eccessivo dire che è sbagliato tutto questo?
E.L. In arte no!
Bisogna che ogni immagine tolga qualcosa al mondo, che se ne appropri, che
qualcosa sparisca, ma senza cadere alla tentazione dell'annientamento, o
dell'entropia come tanta parte dell'arte contemporanea fa...
A.V. Questa
visione "sfocata", che vuole trattenere l'immanenza dell'istante ha
molto di ricordo, di memoria più che di realtà. Sbaglio?
E.L. in parte è
così. Dopotutto devo l'inizio di questo percorso formale al ricordo e alla
memoria che si spinge a ritroso, grazie agli scatti rubati, ai luoghi notturni
che ho visitato… ai posti che, come spesso amo dire, mi hanno visitato!
A.V. 15 anni fa, in
un pomeriggio d'agosto, ci confrontavamo su "Stati d'Assedio" il
percorso pittorico che ti vedeva protagonista di una mostra personale a
Fiumefreddo Bruzio. Oggi ritrovo un'artista che porta avanti una ricerca che
contamina diversi media. Elda Longo è sempre la ragazza dalle "scarpe
spaiate", con la stessa ironica e gioviale rappresentazione di se stessa.
E.L. 15 anni fa,
vero…. Una vita fa! Potremmo dire… Avevo concluso, due anni prima, l'Accademia
delle Arti a Roma. Città dove poi sono rimasta per altri 10 anni. Con frequenti
trasferte in Italia, Milano, Torino, Verona, e all'estero, Londra e New York.
Ho lavorato per Adobe Sistems Italia, la multinazionale di software grafico,
per la quale sono diventata ACE (Adobe Certified Expert) ed ACI (Adobe
Certified Instructor) di vari software grafici. Ho approfondito i media
digitali che oggi hanno aggiunto un'altra Elda alle molte "Elde" che
sono o che amo pensare di essere. (sorride…)
A.V. Fra qualche
giorno la mostra personale a Bruxelles, poi dove te ne andrai?
Progetti vari,
sempre all’estero e qualcosa qui in Calabria ma non ne parliamo, per
scaramanzia! (sorride…)
A.V. Mosaici dunque, ma dov'è finita la
pittura?
E.L. E' nei tamponcini, strani pennelli che
Giovanni, il mio fidanzato, costruisce per me, che mi permettono di intervenire
sulle mie foto scattate, "frantumate" nella materia, stampate su tela
e ricostruite in parte con tasselli di mosaico e in parte con dettegli
cromatici. Poi di recente c'è anche l'uso di Tasselli di legno che
"compari Mariu" (il falegname di Cleto, il mio falegname) taglia per
me. Poi io li tingo, li coloro e provvedo così a dare loro infinite sfumature.
Torno un pò bambina quando realizzo i miei "mosaici", ma la pittura è
sempre con me è dentro di me. E' nel taccuino che riempio di appunti e di disegni
quotidiani, è dovunque e comunque. E' adesso qui in mezzo a noi due, Antonio!
(sorride...)
A.V. Come nasce
questa tua ricerca
E.L. Mamma mia… fino a pochi anni fa non avrei
avuto il coraggio nemmeno di ricordarlo a me stessa. E a volte ho dato anche
motivazioni finte a chi lo chiedeva. Oggi, con un pò di fatica, provo a
rispondere: ero docente d'informatica a Roma, in una prestigiosa scuola di
grafica, alla fine di uno dei miei corsi iniziai a frequentare un mio allievo
(ex-allievo mi ripetevo per stanare l'approccio bigotto con cui mi rapportavo a
lui ). Frequentazioni virtuali chiaramente. Lui si negava, non riusciva ad
incontrarmi. Mesi e mesi di mail e incontri su ICQ, uno dei primi programmi di
chat-line. Questo suo negarsi mi portò a rubargli via computer delle foto. Sai,
la funzione "STAMP" sulla tastiera, crea l'istantanea di quello che
stai visualizzando sul monitor. Tante, tantissime foto di pessima qualità che
restavano leggermente comprensibili ad una certa distanza ma che perdevano la
propria consistenza nell'attimo stesso che provavo ad ingrandirle. Poi sparì,
non ebbi più notizia per molti anni di lui. Così, ho continuato ad
"incontrarlo" in queste icone sfocate. Un pò mieloso dirai… vero?!
Poi sono passata alle stampe su tela, non restava nulla di lui… Vaghe sagome,
grossi quadrati dall’effetto mosaico che erano incomprensibili a tutti, ma non
a me… Elaborai così 5-6 passaggi
da effettuare con un software di grafica vettoriale e un altro di elaborazione
fotografica in modo da virare i colori sulla scala tonale che corrispondeva ai
tasselli di mosaico che compravo pre-confezionati. Erano gli esordi, non avevo
perfezionato la tecnica, quello che contava era "afferrarlo" e questo
era l'unico modo che avevo escogitato. E a ritorno a casa, dopo estenuanti
giornate di lavoro, mi trastullavo a incollare su questi tasselli stampati i
tasselli musivi… io riuscivo a vederlo, a sentirlo. Soprattutto a distanza. Da
vicino perdevo i dettagli tornavo nel vortice delle mie insicurezze e dei miei
tormenti. Non ho mai mostrato questi primi mosaici… erano stati terapeutici, mi
avevano aiutato a "capire" senza capirci nulla; a dare un nome a
quella mia fobia. Da qui ho iniziato a pensare di frantumare tutto il resto,
per ricostruirlo nuovamente… ci sarò riuscita?
A.V. Mi raccontavi che ovunque ti presenti come “Elda
da Cleto”.
E.L. da quando ero al liceo, mi sono sempre presentata come “Elda di
Cleto”. Anche all’estero! Cleto è una parola che anche quando ero via dalla
Calabria, pronunciavo almeno una volta al giorno. Cleto E’ il “LUOGO” per
eccellenza… Le sue pietre, il castello... non so come dire. Se comincio a parlarne mi soverchia
l’emozione…