domenica 7 aprile 2013

Versione integrale dell'articolo su Gazzetta del Sud del 26-03-2013 di Antonio Verri


Elda Longo, "l'artista della frantumazione", "dell'istante perduto", "della memoria ritrovata"… Lei sostiene che solo così "ricostruisce la realtà”!
Per la fine di marzo la sua mostra personale a Bruxelles, presso la galleria del parlamento europeo. I soggetti? Un diario dei suoi luoghi notturni. E lei si racconta così:

Antonio Verri=  Che cos'è la realtà per te?
Elda Longo= E' qualcosa che non somiglia mai a se stessa e che necessita della giusta distanza per essere compresa.

A.V.  Da qui la tua tecnica?
E.L. Più che tecnica, per me è un linguaggio, che nasce dalla cogente necessità di arrivare al dettaglio. Di spiegarlo, in primis, a me stessa. Ma da vicino i dettagli si sfocano, si frantumano si rendono meno nitidi...

A.V. "Artista della frantumazione", "dell'istante perduto", "della memoria ritrovata". Così si scrive di te. Qual è la definizione migliore?
E.L. Un po' tutte e nessuna. La vita in sé non offre soluzioni di continuità. Sicuramente tutta la mia generazione è travolta e coinvolta da questo travaglio; io ne incarno il dramma cercando, con sforzo, di non assumerne il vittimismo. Per questo amo pensare che il mio progetto poetico-estetico mira a ricostruire la realtà e non a frantumarla!

A.V. Andiamo sempre di più verso l'alta definizione, verso la perfezione dell'immagine, non ti senti un po' anacronistica nel frammentare le tue tele, nel renderle così "povere", "sfocate" di bassa qualità, per usare un termine informatico?
E.L. più si va verso la perfezione realistica dell'immagine più si perde la sua forza d'illusione. E' la frammentazione, quello che si raggiunge "per forza di togliere" (usando le parole di Michelangelo), che permette di arrivare all’anima, ma questo l'abbiamo disimparato con la modernità per questo la gente insegue l'iperfocale sulla realtà, l'alta definizione. Questa corsa sfrenata è eccessiva per me. Io devo chiudere gli occhi per vederci meglio. Devo stare al buio per fare luce sui dettagli e forse perfino su me!

A.V. Non ti sembra un po' eccessivo dire che è sbagliato tutto questo?
E.L. In arte no! Bisogna che ogni immagine tolga qualcosa al mondo, che se ne appropri, che qualcosa sparisca, ma senza cadere alla tentazione dell'annientamento, o dell'entropia come tanta parte dell'arte contemporanea fa...

A.V. Questa visione "sfocata", che vuole trattenere l'immanenza dell'istante ha molto di ricordo, di memoria più che di realtà. Sbaglio?
E.L. in parte è così. Dopotutto devo l'inizio di questo percorso formale al ricordo e alla memoria che si spinge a ritroso, grazie agli scatti rubati, ai luoghi notturni che ho visitato… ai posti che, come spesso amo dire, mi hanno visitato!

A.V. 15 anni fa, in un pomeriggio d'agosto, ci confrontavamo su "Stati d'Assedio" il percorso pittorico che ti vedeva protagonista di una mostra personale a Fiumefreddo Bruzio. Oggi ritrovo un'artista che porta avanti una ricerca che contamina diversi media. Elda Longo è sempre la ragazza dalle "scarpe spaiate", con la stessa ironica e gioviale rappresentazione di se stessa.
E.L. 15 anni fa, vero…. Una vita fa! Potremmo dire… Avevo concluso, due anni prima, l'Accademia delle Arti a Roma. Città dove poi sono rimasta per altri 10 anni. Con frequenti trasferte in Italia, Milano, Torino, Verona, e all'estero, Londra e New York. Ho lavorato per Adobe Sistems Italia, la multinazionale di software grafico, per la quale sono diventata ACE (Adobe Certified Expert) ed ACI (Adobe Certified Instructor) di vari software grafici. Ho approfondito i media digitali che oggi hanno aggiunto un'altra Elda alle molte "Elde" che sono o che amo pensare di essere. (sorride…)

A.V. Fra qualche giorno la mostra personale a Bruxelles, poi dove te ne andrai?
Progetti vari, sempre all’estero e qualcosa qui in Calabria ma non ne parliamo, per scaramanzia! (sorride…)

A.V.  Mosaici dunque, ma dov'è finita la pittura?
E.L.  E' nei tamponcini, strani pennelli che Giovanni, il mio fidanzato, costruisce per me, che mi permettono di intervenire sulle mie foto scattate, "frantumate" nella materia, stampate su tela e ricostruite in parte con tasselli di mosaico e in parte con dettegli cromatici. Poi di recente c'è anche l'uso di Tasselli di legno che "compari Mariu" (il falegname di Cleto, il mio falegname) taglia per me. Poi io li tingo, li coloro e provvedo così a dare loro infinite sfumature. Torno un pò bambina quando realizzo i miei "mosaici", ma la pittura è sempre con me è dentro di me. E' nel taccuino che riempio di appunti e di disegni quotidiani, è dovunque e comunque. E' adesso qui in mezzo a noi due, Antonio! (sorride...)

A.V. Come nasce questa tua ricerca
E.L. Mamma mia… fino a pochi anni fa non avrei avuto il coraggio nemmeno di ricordarlo a me stessa. E a volte ho dato anche motivazioni finte a chi lo chiedeva. Oggi, con un pò di fatica, provo a rispondere: ero docente d'informatica a Roma, in una prestigiosa scuola di grafica, alla fine di uno dei miei corsi iniziai a frequentare un mio allievo (ex-allievo mi ripetevo per stanare l'approccio bigotto con cui mi rapportavo a lui ). Frequentazioni virtuali chiaramente. Lui si negava, non riusciva ad incontrarmi. Mesi e mesi di mail e incontri su ICQ, uno dei primi programmi di chat-line. Questo suo negarsi mi portò a rubargli via computer delle foto. Sai, la funzione "STAMP" sulla tastiera, crea l'istantanea di quello che stai visualizzando sul monitor. Tante, tantissime foto di pessima qualità che restavano leggermente comprensibili ad una certa distanza ma che perdevano la propria consistenza nell'attimo stesso che provavo ad ingrandirle. Poi sparì, non ebbi più notizia per molti anni di lui. Così, ho continuato ad "incontrarlo" in queste icone sfocate. Un pò mieloso dirai… vero?! Poi sono passata alle stampe su tela, non restava nulla di lui… Vaghe sagome, grossi quadrati dall’effetto mosaico che erano incomprensibili a tutti, ma non a me…  Elaborai così 5-6 passaggi da effettuare con un software di grafica vettoriale e un altro di elaborazione fotografica in modo da virare i colori sulla scala tonale che corrispondeva ai tasselli di mosaico che compravo pre-confezionati. Erano gli esordi, non avevo perfezionato la tecnica, quello che contava era "afferrarlo" e questo era l'unico modo che avevo escogitato. E a ritorno a casa, dopo estenuanti giornate di lavoro, mi trastullavo a incollare su questi tasselli stampati i tasselli musivi… io riuscivo a vederlo, a sentirlo. Soprattutto a distanza. Da vicino perdevo i dettagli tornavo nel vortice delle mie insicurezze e dei miei tormenti. Non ho mai mostrato questi primi mosaici… erano stati terapeutici, mi avevano aiutato a "capire" senza capirci nulla; a dare un nome a quella mia fobia. Da qui ho iniziato a pensare di frantumare tutto il resto, per ricostruirlo nuovamente… ci sarò riuscita?

A.V. Mi raccontavi che ovunque ti presenti come “Elda da Cleto”.
E.L. da quando ero al liceo, mi sono sempre presentata come “Elda di Cleto”. Anche all’estero! Cleto è una parola che anche quando ero via dalla Calabria, pronunciavo almeno una volta al giorno. Cleto E’ il “LUOGO” per eccellenza… Le sue pietre, il castello... non so come dire. Se comincio a parlarne mi soverchia l’emozione…

Dalla Gazzetta del Sud - martedì 26 Marzo 2013 by Antonio Verri